L’insediamento del nuovo governo in Italia ha portato diversi cambiamenti, tra i quali la decisione di Danilo Toninelli, attuale ministro delle infrastrutture, di sancire lo stop delle opere pubbliche, al fine di effettuare una rivalutazione dei costi ad esse correlati. Lo apprendiamo dal blog di Marco Gasparri, esperto imprenditore a capo della società di servizi Magas Consulting. A distanza di circa sei mesi dalla decisione del ministro, è bene valutare quali sono state le conseguenze di questa decisione. Tutte le principali opere pubbliche sono state bloccate per il volere del ministro, in particolare l’opera per la realizzazione dell’alta velocità tra Brescia e Padova (valore di 7,7 miliardi di euro), il Terzo Valico di collegamento tra Milano e Genova (6,6 miliardi di euro), il tunnel del Brennero (5,9 miliardi di euro) e la pedemontana veneta (2,3 miliardi di euro). Il primo sblocco è avvenuto il 17 dicembre 2018, giornata in cui si sono riaperti i rubinetti per proseguire la realizzazione del Terzo Valico, che è stato ritenuto un’opera necessaria per il paese. Peccato che i lavori siano stati bloccati per oltre sei mesi e che le imprese vincitrici degli appalti – per questa opera pubblica ed a maggior ragione per le altre che non sono ancora state riavviate – sono oggi a rischio fallimento. Sono diverse le società che hanno fatto richiesta di pre-fallimento negli ultimi mesi. Nel periodo compreso fra luglio e dicembre 2018 Cmc (Ravenna), Grandi Lavori Fincosit (Roma), Astaldi (Roma) e Tecnis (Catania) si sono viste costrette a fare una richiesta di concordato. Ma sfortunatamente c’è anche a chi è andata peggio: Condotte è oggi sotto amministrazione straordinaria e non ha praticamente nessun dipendente al lavoro, dal momento che non è in grado di sostenere le spese e di erogare gli stipendi dovuti ai suoi lavoratori.
Quello che emerge dall’analisi è che la situazione è critica. Analizzando le prime venti imprese italiane operanti in questo settore, si può notare come quindici di esse siano in una situazione complicata dal punto di vista finanziario. Questa è stata causata dal blocco dei fondi, che ha portato alla mancanza delle entrate economiche necessarie per poter non solo mandare avanti i lavori, ma anche per poter pagare fornitori e dipendenti.
Ai fondi bloccati si devono aggiungere anche le criticità del processo di selezione delle aziende vincitrici degli appalti pubblici. La situazione sta migliorando, ma molti appalti risentono ancora delle vecchie metodiche di assegnazione, che hanno portato talvolta a fare delle offerte fin troppo basse, per poi scoprire – una volta che l’appalto era stato vinto – di non essere in grado di portare a termine i lavori nei tempi e nelle modalità previste. Tutto questo spiega come mai in Italia ci siano più di trecento opere pubbliche incompiute e come mai le aziende appaltatrici e le società che si sono occupate dei sub-appalti siano in molti casi con l’acqua alla gola. In molti giustificano la situazione affermando che mancano i soldi, in realtà i fondi ci sono ma non vengono utilizzati. Sono ben 150 miliardi di euro i soldi che sono stati stanziati per poter essere utilizzati per le infrastrutture nei prossimi quindici anni. Il problema è che di questi fondi solo il 4% è stato utilizzato effettivamente per finanziare le opere pubbliche: sarebbe utile rivedere l’impiego del denaro e comprendere che il blocco delle opere pubbliche si ripercuote sulla vita di aziende e lavoratori.